1987-88: La seconda rivoluzione Viola

Roma nuova di zecca

Via Eriksson, c' é di nuovo Liedholm, per la terza volta in 14 anni. Poi arrivano nomi grossi: Collovati, Signorini, Policano, Domini, il discusso Manfredonia e il cannoniere tedesco Rudy Voller. E' il punto e a capo

Nella Roma di Klaus Berggreen, quella che ha posto termine all'ambiziosa marcia di Sven Eriksson verso la nuova frontiera, non c'era più Tonino Cerezo. L'allontanamento del brasiliano, personaggio variabile, dai mille colori, come un disegno del caleidoscopio, rappresenta uno dei fatti più misteriosi di quella Roma piena di complicazioni e di sospetti, peggio di una Corte rinascimentale. Una cosa è certa, la frattura determinatasi tra giocatore e presidente era insanabile. Ne parlammo con Dino Viola, che testualmente rispose: «Mi è dispiaciuto allontanarlo, ma non c'erano altre vie di uscita: o se ne andava lui o dovevo andarmene io». Si venne anche a sapere che c'era stata una animata discussione negli spogliatoi di Trigoria. Più riservatamente, cominciarono poi ad arrivare altre notizie, di cui nessuno ha mai potuto garantire l'attendibilità: dicevano che Viola si era presentato per fare alcuni rimproveri ai giocatori, che Cerezo aveva osservato che lo spogliatoio era tabù anche per il presidente; che Viola aveva invitato Cerezo a dire cose più ragionate; che il giocatore si era slanciato verso il presidente minacciando di buttarlo fuori con la forza. Questa voce circolò, insistita, per molto tempo, però mai se ne è avuto riscontro ufficiale. Cominciò uno dei momenti peggiori di Dino Viola presidente della Roma. Non lo avevano mai turbato le difficili battaglie sostenute, del resto concluse quasi tutte vittoriosamente. Quelli del Palazzo si facevano il segno della Croce a nominarlo, tanto lo temevano. Le battaglie eccitavano Viola perchèimpegnavano il suo straordinario senso strategico: quasi sempre, l'ingegnere sapeva come sarebbe andata a finire, per la semplice ragione che era lui a condurre il gioco.
Il momento difficile era cominciato con i rigori sbagliati contro il Liverpool e che avevano decretato la fine del Grande Progetto: era continuato con l'allontanamento di Eriksson e l'abbandono della marcia verso la Nuova Frontiera. Adesso il momento difficile comprendeva sofferte riflessioni: Viola si rendeva conto che per controllare le schegge impazzite di un meccanismo andato in frantumi, ci voleva un solo uomo: proprio lui, Nils Liedholm, con il quale Viola credeva di aver concluso ogni rapporto di collaborazione. La prospettiva non riscaldava il suo orgoglio, ricco di riflessi narcisistici: però appagava il suo senso pratico. Così la grande novità di quella stagione, il 1987/88 che rappresentava l'inizio di un'altra vita, fu costituito proprio dal ritorno del Barone: il terzo in quattordici anni.
Ad agitare viol,mtemente le smosse acque, venne l'ingaggio di Lionello Manfredonia. La Lazio stava vivendo davvero il peggior momento della sua vita: retrocessa nell' 85, era stata penalizzata di nove punti e nell'ultima stagione aveva addirittura rischiato la serie C, evitata in extremis attraverso tormentati spareggi con Taranto e Campobasso. Queste laceranti vicissitudini della grande rivale, non avevano certo assopito lo spirito antagonista, quindi Lionello, agli occhi dei romanisti rimaneva quello che era, un nemico DOC: cresciuto nella Lazio, simbolo della grande tradizione giovanile biancazzurra, titolare per dieci anni in prima squadra e poi -udite udite!- approdato alla Juventus.
Se altri passaggi da una all'altra sponda del Tevere erano stati sopportati - e c'era stato perfino lo storico trasferimento di Ferraris IV, primo capitano romanista, alla Lazio stavolta non si poteva transigere, dicevano i gelosi custodi della tradizione. Gli inviti alla calma ottennero effetti contrari, i tifosi giallorossi si divisero in due fazioni, tra le quali ci furono incidenti di corposa entità. Campeggiarono sugli spalti, nelle partite precampionato, striscioni dai quali grondava un sordo rancore: quei facinorosi non avrebbero mai immaginato che, tempo due anni, li avremmo visti soffrire in una commossa solidarietà con Lionello. Il campionato della Roma '87/88 rischiò, per questa crisi di rigetto verso Manfredonia, di fallire prima ancora di cominciare.

Vola, tedesco, vola...

Eppure, era stata effettuata una campagna acquisti con moltissime novità: Liedholm aveva preteso l'ingaggio del «libero» Gianluca Signorini, che nel Parma aveva rivelato una forte personalità; era arrivato il plurinazionale Fulvio Collovati, protagonista di mille battaglie a livello mondiale; ancora per la difesa era stato scelto il jolly Roberto Policano, un tipo eclettico dotato di un grande temperamento. Il centrocampo era stato corredato di un cervellone come Sergio Domini, al quale però era sempre mancata la necessaria continuità. Poi lui, Lionello Manfredonia, il guerriero ancora non vinto, nonostante devastanti esperienze come quella del calcio-scommesse. Difesa tutta nuova, centrocampo quasi: un'altra Roma. Già, e Rudy Voeller? perchè c'era anche il tedesco che si avviava a conquistare il cuore della Curva Sud. «Vola, tedesco volai sotto la curva vola/la curva s'innamora...».

Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport

 

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